Nel corso dell’intervista, Lucia Dal Negro ha chiarito il concetto di “business inclusivo”, evidenziando le sfide che le imprese incontrano nel perseguire l’innovazione sociale e l’adozione di modelli inclusivi. Dal resistere al cambiamento culturale all’integrare politiche etiche e processi a lungo termine, il cammino verso la sostenibilità richiede impegno e pazienza.

Dal Negro ha inoltre offerto preziosi consigli pratici per le aziende che desiderano abbracciare la responsabilità sociale d’impresa. Invitando all’audacia, alla trasparenza e al coinvolgimento di tutti i dipendenti, ha sottolineato l’importanza di adattarsi ai cambiamenti del mercato e alle esigenze della società.

Come definirebbe il concetto di “business inclusivo” e quali sono i principali vantaggi per le imprese che adottano questo modello?

Si tratta di un modello di business che intende sviluppare prodotti e servizi appositamente pensati per garantire bisogni primari in Paesi ad alta povertà. La caratteristica è che tali soluzioni sono co-create assieme agli utilizzatori finali e hanno un prezzo accessibile in loco, per potersi diffondere secondo modelli profit (non tramite beneficienza). Per le imprese rappresenta una frontiera di business development molto interessante visto che i driver di crescita più strategici sono tutti nei Paesi in Via di Sviluppo, basti pensare ai tassi di natalità.

Quali sono le principali sfide e ostacoli che incontrate all’interno delle aziende che decidono di intraprendere un percorso di innovazione sociale e/o di adozione di modelli di business inclusivi?

Le imprese che intendono investire in modalità BOP (Business Inclusivo) o fare Innovazione Sociale (Responsabilità Sociale d’Impresa (CSR) o Sostenibilità) fanno fatica a cogliere che entrambi questi temi, proprio perché strategici, necessitano di orizzonti di lungo periodo e quindi non basta dotarsi di uno studio di fattibilità, di un Bilancio di Sostenibilità, di certificazioni o di un Codice Etico, se poi a monte non ci sono politiche e procedure che innestano i processi etici in percorsi di medio/lungo periodo, con obiettivi definiti e monitorabili nel tempo. Talvolta l’etica aziendale viene narrata in modalità on/off… ma non è tutto bianco o nero, né tutto immediato. Altrimenti sarebbe un fake. 

Mi può descrivere un vostro progetto legato alla sostenibilità e alla responsabilità sociale che ritiene particolarmente significativo del vostro modello?

Come De-LAB abbiamo scelto di trasformarci in Società Benefit e di certificarci come B-CORP, per dare prova di coerenza ai nostri clienti, dimostrando loro che “siamo ciò che facciamo”. Quindi, pur rimanendo azienda profit, la nostra agenzia ha obblighi aggiuntivi ESG annuali e certificazioni che garantiscono – con validazione di terza parte – che il nostro stesso modello di business è a impatto positivo. Infine, nel 2018 abbiamo scelto di investire in un nostro progetto ad impatto sociale – Kokono – (www.kokono.life), progettando la prima culla anti-malarica in materiale altamente biodegradabile prodotta e distribuita direttamente in Uganda.

Ci siamo messi dalla parte dei nostri clienti e abbiamo condotto un nostro progetto, tutt’ora in essere, in grado di dimostrare che dalla “teoria” (cioè la consulenza pura) sappiamo passare anche alla “pratica”, cioè l’investimento. Pensiamo che un cliente possa apprezzare la nostra idea di impegnarci – esattamente come loro – in questi percorsi di sviluppo sostenibile.

Come integrate con successo un approccio di business sostenibile ed inclusivo all’interno di contesti aziendali consolidati e spesso orientati esclusivamente al profitto?

Tutto nasce dal far presente alle imprese che il vecchio modo di fare impresa è finito. Limiti ambientali e obblighi sociali già impongono alle aziende un cambio di rotta. Chi farà resistenza, uscirà dal mercato. Da questa considerazione basilare, poi, si costruiscono percorsi ad hoc a seconda del livello di maturità dei clienti sul tema. Non serve essere eroi – come detto nella prima domanda – perché si tratta di percorsi evolutivi.

Alla base però deve esserci la motivazione delle imprese, la voglia di capire come e cosa fare per lasciare alle future generazioni un mondo migliore. Se lo si fa per seguire la moda, si perdono opportunità di crescita. E considerando la velocità con cui il mercato, le normative, le preferenze di buyer e consumatori si evolvono …restare indietro su questi temi ha dei costi (e dei rischi) sempre più alti. 

Analizzate, studiate e definite messaggi e linguaggi per valorizzare iniziative sociali o ambientali. Quali sono le peculiarità della comunicazione etica?

Anzitutto alla base ci devono essere dei dati verificati: raccontare di impegno sociale ed ambientale senza averne evidenza è rischiosissimo, perché può danneggiare la reputazione del brand in tempi rapidissimi. Per evitare che questo accada, nelle forme classiche del green/social-washing, serve una cura particolare al linguaggio, alle sensibilità dei pubblici che leggono di progetti ed iniziative, e moltissima trasparenza…anche laddove vada comunicata una performance non eccellente: l’importante è instaurare un dialogo duraturo e onesto con i propri interlocutori aziendali e studiare a fondo la base-dati da cui partire.

Come gestite la complessità delle partnership tra settori diversi (pubblico, privato e no-profit), nel perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile?

Con molta, moltissima pazienza. Nei progetti in cui lavoriamo con attori privati, pubblici, non-profit, occorre allineare tutti i partner verso una vision comune. Questa è la parte più creativa e interessante. Poi arrivano i momenti più pragmatici, in cui si parla di tempistiche, aspetti fiscali, registri linguistici…e qui si vede la vera tenuta della partnership. Nella nostra esperienza africana, la vision non è mai mancata. Le difficoltà sono state legate all’allineamento di diversi ritmi e modus operandi. Per questo dico che serve molta pazienza e regole del gioco chiare per tutti.

Quali indicazioni e consigli darebbe alle aziende che desiderano integrare con successo la responsabilità sociale d’impresa nelle proprie attività?

Consiglierei di:

  • lavorare in tandem con esperti esterni per imbastire i processi di avvio delle diverse operazioni e l’impostazione delle strategie di base. Questo perché un attore esterno è più lucido nel progettare processi basati su quanto (tanto o poco) di già esistente in azienda.
  • coinvolgere tutti i propri dipendenti, perché questi temi devono diventare la grammatica delle relazioni all’interno e all’esterno dell’azienda, quindi nessun ufficio, nessun ruolo, può sentirsi escluso.
  • osare, molti imprenditori sono già sensibili su questi temi e non partono mai da zero. Ecco quindi che l’ingresso di una nuova normativa, una diversa preferenza di mercato, un competitor che si schiera su questi temi, rappresentano opportunità da cogliere per posizionarsi con ambizione e visione coraggiosa su questi temi, considerandoli strategici per la creazione del valore aziendale.

Quali sono le tendenze emergenti nel campo dell’innovazione sociale che ritiene più promettenti ed efficaci per affrontare le sfide attuali?

Una su tutte la capacità di misurare e valutare gli impatti dei propri progetti sociali ed ambientali. Non basta infatti “fare qualcosa” ma occorre misurare le performance e impegnarsi a migliorarle nel medio/lungo periodo. Per fare questo la diffusione di metodi di valutazione degli impatti e monitoraggio qualitativo e quantitativo delle iniziative sono fondamentali e finalmente stanno influenzando il modo in cui tali progetti vengono pensati…impattando a monte e non solo a valle. Questo, che pare solo un dato tecnico, è invece una rivoluzione: pensare ad un progetto sociale immaginandone già la sua misurabilità significa essere più efficaci ed efficienti. Significa evolversi per il meglio.